La Pietà dei Dupré ad Agnone

 

La fabbrica di Sant’Emidio è, sicuramente, la più rilevante di Agnone sia nella struttura che nel paramento decorativo.

In origine era una modesta pieve extra-moenia; nella tarda età angioina fu rifondata da «mercanti ascolani della Marca, che facevano commercio in Agnone».

La pianta presenta due navate asimmetriche: quella di sinistra, trecentesca, con piccola aula absidale e copertura a capriate (sulla prima trave è possibile leggere la data 1443 e il nome degli mastri che la realizzarono), è coassiale con la facciata e con lo stupendo portale in stile tardo gotico; quella di destra, aggiunta al principio del XVII secolo, con soffitto a cassettoni, si collega alla principale tramite due arconi, uno dei quali a sesto acuto.

La chiesa contiene opere pittoriche e scultoree di notevole interesse, che si sono venute a disporre sulle pareti e nelle nicchie in una stratificazione storica che va dal Rinascimento alla fine del XIX secolo.

Gli altari laterali, in legno dorato e ridondante stile barocco o rococò, offrono alloggio a tele e statue, tra cui quelle settecentesche di Sant’Emidio e San Placido.

Dietro l’altare maggiore a marmi policromi si trova un coro in legno intarsiato, sulla cui sommità sono allineate le statue - sempre in legno e a grandezza naturale - di Gesù e dei dodici Apostoli, riconducibili nell’ambito del Seicento napoletano.

Notevole è anche un crocifisso - bozzetto originale per un’opera che si trova oggi nel Cimitero di Buenos Aires - di Giulio Monteverde (1837- 1917).

I numerosi lavori in stucco, di raffinata fattura, sono per la maggior parte stati realizzati da artefici di Pescopennataro che, nel XVIII secolo, aveva una vera e propria scuola di questa tecnica.

Un apporto determinante all’aspetto che attualmente presenta l’interno dell’edificio si deve, comunque, a Luigi Pannunzio, parroco di Sant’Emidio dal 1875 al 1907.

Luigi Gamberale, ne Il mio libro paesano (1915), ci riferisce che Pannunzio, suo professore al ginnasio, «seppe stringere amicizia con due sommi artisti: Giovanni Dupré ed Amalia Dupré», avendo da loro opere mirabili.

Giovanni Dupré (Siena 1817 – Firenze 1882), figlio di un intagliatore, si formò nella bottega del padre ma frequentò anche l’Istituto d’arte di Siena.

Nel 1840 si trasferì a Firenze, dove subì l’influsso di Lorenzo Bartolini, artista in bilico tra neoclassicismo e verismo.

Due anni dopo espose la sua scultura più celebre, l’Abele morente (l’opera in marmo fu acquistata dallo zar di Russia e ora si trova al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo mentre una copia in bronzo si conserva presso la Galleria d’Arte Moderna di Firenze), aspramente criticata per l’eccessivo realismo con cui era modellato il corpo, sdraiato e nudo, del personaggio biblico (fu accusato addirittura di avere eseguito un calco sul modello).

Gli accademici fiorentini non si resero conto della novità dell’opera, dell’intelligenza e dell’abilità - scambiata per virtuosismo fine a se stesso - con cui Dupré aveva “reinventato”, tramite una puntigliosa verifica sul vero, la tematica del nudo rinascimentale e manierista.

L’opera scatenò un acceso dibattito fra i sostenitori dell’idealizzazione del reale come presupposto fondamentale della scultura, secondo l’impostazione teorica tipica del classicismo, e i fautori della rappresentazione del vero naturale.

Nel 1843 realizzò Caino (anche questa scultura in marmo è all’Ermitage mentre una copia in bronzo si trova alla Galleria d’Arte Moderna di Firenze) di impostazione più accademica: l’assassino urla, alza il braccio sulla fronte mentre si ritrae ma risulta statico, “freddo”.

Produsse poi alcune opere in cui il classicismo viene coniugato con tratti realistici, alla maniera del suo contemporaneo Vincenzo Vela. Da ricordare: Giotto (1844, Portico degli Uffizi a Firenze), Saffo abbandonata (1857, Galleria d’Arte Moderna di Roma), il rilievo con il Trionfo della Croce (1861, lunetta del portale centrale della chiesa di Santa Croce a Firenze), il Monumento a Cavour (1878, Torino), San Francesco (1881, cattedrale di San Rufino ad Assisi).

- Giovanni Dupré, Pietà, marmo, 1862-63, Siena, Cimitero della Misericordia -

La Pietà (1862-63, Cappella Bighi Ruspoli nel Cimitero della Misericordia a Siena) è considerata il suo capolavoro; nell’estrema finezza dell’esecuzione e nello schema compositivo è palesemente riconducibile alla pittura toscana del Cinquecento - alcuni vi vedono una somiglianza con un’opera molto nota di Fra Bartolomeo della Porta - ma mostra, al di là del verismo formale, un sentimento patetico nella contemplazione della morte, una delicatezza “romantica” nell’espressione del dolore (vicina ai dipinti di Francesco Hayez), una suggestione emotiva difficilmente rintracciabili nella plastica del tempo.

Divenuto, dopo la morte di Lorenzo Bartolini, protagonista indiscusso della scultura italiana, Dupré fu premiato, proprio per la Pietà, all’Esposizione internazionale di Parigi del 1867, manifestazione che ebbe ben 43.000 espositori e quasi 7 milioni di visitatori.

Nonostante la fama raggiunta e la grande stima dimostratagli dai contemporanei (il poeta Aleardo Aleardi scrisse a proposito dei suoi lavori: «forma antica e sentimento moderno, anima cristiana con in mano scalpello greco») verrà però bistrattato dalla critica novecentesca e dagli autori dei più noti manuali di storia dell’arte (Leonardo Borgese formulerà un giudizio impietoso: «... senza fantasia, con sentimentalismo al posto della poesia, senza cultura e senza gusto ma con mestiere e coscienziosità...»); solo recentemente una più attenta “lettura” di alcune sue opere ha messo in evidenza la novità del suo stile nel convenzionale panorama dell’arte “ufficiale” del XIX secolo.

Amalia Dupré (1842-1928), figlia di Giovanni, imparò il “mestiere” dell’arte dal padre, in un’epoca in cui il lavoro di scultura, impegnativo, pesante, con carattere essenzialmente manuale, era considerato poco adatto ad una donna.

Tra le sue opere possiamo ricordare: Santa Chiara (1888) nella cattedrale di San Rufino ad Assisi, alcuni monumenti funebri - in particolare quello di monsignor Del Corona (1920) - nel duomo di San Miniato (in provincia di Pisa), il Dolore e un busto del padre conservati nella sede storico-museale della Contrada dell’Onda a Siena.

In particolare nel Molise realizzò una statua della Vergine per il Santuario della Madonna della Difesa a Casacalenda e alcune sculture per la chiesa di San Silvestro papa a Civitanova del Sannio.

È, però, nella chiesa di Sant’Emidio ad Agnone che si possono ammirare le opere più interessanti dei due Dupré: un Cristo morto in gesso con rivestimento policromo e due piccole sculture in marmo, un San Francesco e un Busto di Dante, di Giovanni; una Addolorata in terracotta, un Cristo Risorto (1895) sempre in terracotta, un Battesimo di Cristo (1890) in marmo, di Amalia.

- Giovanni e Amalia Dupré, Pietà, Agnone, Chiesa di Sant’Emidio -

Le statue del Cristo morto e dell’Addolorata sono collocate sullo stesso altare in modo da formare la scena della Pietà; la prima è un modello, un bozzetto a grandezza naturale che precedette e servì per la realizzazione del celebre marmo del cimitero di Siena, la seconda è un originale, un pezzo unico, eseguito appositamente nel 1896.

Il gruppo, seppure compresso in uno spazio angusto - una sorta di teca barocca - con il corpo di Gesù semisdraiato in primo piano e la Vergine racchiusa in una nicchia, attira subito l’attenzione del visitatore.

- Giovanni Dupré, Cristo morto, particolare, gesso dipinto, 1862 circa, Agnone, Chiesa di Sant’Emidio -

L’espressione di dolore è composta, delicata e profondamente spirituale, molto lontana da quella urlata, melodrammatica e piena di tensione dei Compianti tardo-quattrocenteschi di Guido Mazzoni e Niccolò dell’Arca.

Amalia Dupré con la Madonna, tutta ammantata - emergono dalla sagoma nera, increspata dalle pieghe del tessuto, solo il viso e le mani -, non vuole realizzare una scultura di forma ma una scultura di pathos ed, effettivamente, riesce a suscitare l’empatia dell’osservatore, e a commuovere, più del padre.

- Amalia Dupré, Addolorata, particolare, terracotta colorata, 1896, Agnone, Chiesa di Sant’Emidio -

Tuttavia dal punto di vista compositivo l’insieme, fruibile “pittoricamente” per la sola veduta frontale, accusa scarsa unità poiché la figura a collocazione verticale appare nettamente staccata da quella in posizione quasi orizzontale; del resto, oltre al fatto che il Cristo era stato pensato per un’altra scena (la gamba della madre che regge il busto del figlio nella scultura di Siena appare qui adattata per simulare un supporto ricoperto da un lenzuolo), si tratta di autori diversi e più di 34 anni separano le due opere.

Ciò, ovviamente, non influisce sulla valenza delle singole statue, sia per quanto riguarda l’ideazione che la modellazione; esse possiedono una evidente forza plastica che trascende l’intorno.

Per lungo tempo, nell’orientamento di pensiero e di metodo riguardo ai problemi storici, hanno dominato: il pregiudizio sui periodi di progresso e di decadenza dell’arte, la classificazione di arti maggiori ed arti minori e la distinzione, spesso arbitraria, fra artista-ideatore e artigiano-artefice, fra scultore e semplice scalpellino.

Opere di notevole interesse, difatti, non sono solo quelle classiche, medioevali, rinascimentali, barocche o neoclassiche ma anche quelle concepite nel tardo Ottocento come dimostra questa Pietà dei Dupré, padre e figlia, scultori mirabili, che porta impressa la visione artistica e gli ideali figurativi della propria epoca.

                                                                                                                                                                                           Alessandro Cimmino


Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Disegni, elaborazioni grafiche e foto, ove non specificato, sono dell'autore.

Articolo pubblicato sul mensile "Il Ponte", a. XXII, n. 2, febbraio 2010, pp. 38-40.