CAMPUS BASSUS

 

 Le origini di Campobasso risalgono all’Alto Medioevo; la citazione più antica è contenuta in un diploma datato 878.

L’area su cui si erge il centro storico - in dialetto: “lu Monte” - era frequentata sin da epoca remota, come testimonia il ritrovamento di mura megalitiche appartenenti ad un recinto sannitico, tuttavia è solo nell’VIII secolo che, probabilmente, si formò un insediamento rurale di una certa consistenza.

Due sono le ipotesi più accreditate per quanto riguarda l’etimologia: la prima vuole che il nome derivi dalla ubicazione dell’abitato in basso rispetto al maniero situato alla sommità del crinale; la seconda che discenda da Campus Vassallorum o Vassorum ossia una Terra occupata da vassalli, sottoposti, servitori.

In epoca longobarda una cortina muraria, appoggiata ai resti della fortificazione sannitica, venne a proteggere la zona più alta, un ambito piuttosto ristretto intorno ad una rocca, giungendo fin nei pressi della chiesa di San Giorgio; qualche secolo dopo, a causa dell’incremento demografico, si rese necessaria un’addizione che inglobasse le chiese e i borghi, allora extra-moenia, di San Bartolomeo e di San Mercurio.

L’impianto urbano che la città man mano assunse nel Basso Medioevo può essere paragonato ad un ventaglio, con l’abitato adagiato sul lato sud-est del colle, attorno al castello, perno della composizione; si tratta di una variante, di notevole interesse, della più diffusa disposizione concentrica.

- Cinta muraria e porte della città di Campobasso -

Le arterie principali, approssimativamente semicircolari - che ricalcano i tracciati dei fossati di murazioni precedenti e testimoniano, quindi, l’ampliamento progressivo -, si avvolgono alle balze del crinale mentre le stradine secondarie - stecche del ventaglio - risolvono i salti di quota, convergendo verso la fortezza. Quasi tutte queste strade conducevano a delle porte urbiche, poste sempre nei pressi di edifici religiosi dai quali presero le denominazioni.

Nel XV secolo il conte Cola, Nicola II di Monforte, fu artefice di notevoli trasformazioni.

Il castello, danneggiato certamente da eventi bellici e dai terremoti del 1349 e del 1456, venne ricostruito in modo radicale, nascondendo i probabili accrescimenti avvenuti nei secoli precedenti (età longobarda e normanna): una massiccia pianta quadrata - circa 32x44,5 metri - con bassi torrioni circolari agli angoli, racchiuse un mastio, anch’esso quadrangolare, sullo spigolo nord-est, ultima difesa in tempo di guerra e punto di vedetta in tempo di pace.

Una cortina di forma ovoidale, dotata di torri semicircolari, includendo oltre al castello le chiese di San Giorgio, Sant’Angelo (San Michele Arcangelo) e Santa Maria Maggiore o del Monte, formò sull’altura una vera e propria cittadella fortificata. Apparteneva alla struttura anche il “torrazzo” oggi chiamato - dal nome degli antichi suoi acquirenti - Terzano, posto a protezione di una porta (situata vicino alla chiesa di San Bartolomeo) che immetteva nell’area militare; una seconda possibilità di accesso era costituita dalla cosiddetta Porta Fida o Fredda situata sul versante meridionale.

Per ottenere lo spazio libero necessario alla creazione di questo recinto - atto ad ospitare le truppe e controllare tutto il territorio circostante - furono distrutti gli edifici dell’originario nucleo longobardo e la chiesa di Santa Croce del Battente, con il trasferimento degli abitanti - sopravvissuti al terremoto del 1456 - ad una quota più bassa del declivio.

La cinta urbana che risultò alla fine delle svariate operazioni di ripristino ed ampliamento succedutesi nel Medioevo, nel Rinascimento e anche nei secoli successivi, è oggi difficilmente leggibile.

Tuttavia le seppur poche rappresentazioni grafiche, connesse alle ricerche archivistiche e bibliografiche, consentono di poter formulare un’ipotesi di ricostruzione della forma della città di Campobasso chiusa nell’ultima cerchia di mura (aragonese).

 - Campobasso in un disegno del 1583 (i cerchi rossi evidenziano i fornici d’accesso alla città sul lato sud-ovest) -

In particolare, preziose fonti iconografiche si sono rivelate: un disegno del 1583 appartenente alla raccolta «Carte Rocca» (conservato presso la Biblioteca Angelica di Roma); alcune vedute del XVII secolo, proposte in diverse pubblicazioni ottocentesche; due disegni relativi al «Feudo di Santa Maria di Monte Verde in tenimento di Mirabello» datati anno 1743 (custoditi nell’Archivio di Stato di Campobasso); una planimetria della città nel 1816, realizzata dall’architetto Bernardino Musenga (sempre presso l’Archivio di Stato di Campobasso); una pianta topografica della città nel 1859, «levata» dall’architetto Antonio Pace (anch’essa più volte pubblicata).

La murazione che cingeva l’abitato, scendeva a sud-ovest verso la chiesa di Sant’Antonio Abate, seguiva la fascia di base del monte e risaliva il precipizio ad est, nei pressi della chiesa di San Paolo.

Essa fu in gran parte irrobustita dal conte Cola con l’erezione di un secondo muro, ad una certa distanza dal primo; lo spazio tra i due venne, dunque, coperto con delle volte creando lunghissimi portici detti «Rinforzi», passaggi protetti - sormontati da un camminamento di ronda - che permettevano di spostarsi da un capo all’altro della città, dal quartiere di San Mercurio a quello di San Paolo, di grande utilità nel corso di operazioni militari.

In età aragonese, fuori Porta San Leonardo si sviluppò un importante sobborgo, con carattere commerciale ed artigianale; si rese, quindi, necessaria una addizione che lo inglobasse e di conseguenza la porta urbica venne spostata circa settanta metri avanti, alla confluenza delle attuali via Orefici e via Marconi. Conseguentemente parte del precedente duplice anello murario risultò incorporato nelle nuove costruzioni.

Pochi tratti di mura “a scarpa” della cinta aragonese si possono ancora distinguere in viale del Castello e in via Marconi, anche se intonacati ed inglobati nelle case attuali.

- Porta Sant’Antonio Abate -

- Porta Santa Cristina (Mancina) -

Sopravvivono, poi, alcuni fornici d’accesso: Porta Sant’Antonio Abate (risalente al 1463, come testimonia lo stemma dei Monforte, in alto sulla sinistra, e rinnovata nel XVIII secolo), Porta San Nicola (piccolo andito che immette in una galleria), Porta Santa Cristina o Mancina (cosiddetta perché posta a sinistra - guardando dall’interno - rispetto a Porta Maggiore e alla chiesa di San Leonardo) e Porta San Paolo (sormontata da uno stemma datato 1374).

- Porta San Paolo -

Non sono più in sito ma la loro ubicazione è ancora individuabile: Porta Santa Maria della Croce (abbattuta nel 1864), Porta San Leonardo o Maggiore o della Piazza (ricostruita nel 1725 dal conte-duca Carlo Carafa e definitivamente demolita nel 1834), Porta Fida e l’altro ingresso (abbattuto nel XIX secolo) alla cittadella fortificata che proteggeva il castello.

Quest’ultimo, come attesta la denominazione - utilizzata in alcuni antichi documenti - «luogo delle tre porte», era probabilmente un apparato di sicurezza costituito da più aperture; sono individuabili: la principale, collocata tra il “torrazzo” Terzano e la chiesa di San Bartolomeo (ben visibile nel citato disegno del 1583) e un’altra tra la base del campanile della stessa chiesa (ove rimane un piedritto, un piano d’imposta e il primo concio - uno dei reni - dell’arco) e il muro di cinta.

Esistevano, inoltre, delle porte più piccole (postierle); difatti, nel quartiere Sant’Antonio Abate, sopravvive il toponimo: vico del Portello, mentre un altro fornice che immetteva in una galleria (come Porta San Nicola) è ricordato, in un noto saggio del XIX secolo, da Pasquale Albino «vicino alla torre dei Presutti».

Tutti gli accessi, fino all’anno 1682, venivano serrati ogni sera da addetti a questa funzione (“portolani”), in possesso delle chiavi relative.

Arrivate ai nostri giorni, seppure in gran parte rimaneggiate ed incorporate nelle abitazioni, sono, inoltre, alcune torri di scolta, note quasi sempre con i nomi delle persone o delle famiglie che ne divennero proprietarie: Torre Jaluongo, sul verante sud-occidentale del monte; Torre San Mercurio, su vico Carnaio; Torre del barone Petitti, presso Porta Sant’Antonio Abate; Torre dell’abate Ginetti, in via Marconi, vicino a Porta San Nicola; Torre Filiberto Petitti, attigua a Porta Mancina; Torre Presutti, lungo viale del Castello; Torre Ferrante, attigua a Porta San Paolo; Torre Terzano, gia più volte citata.

- Torre San Mercurio -

- Torre Terzano -

Nelle «indicazioni dichiarative» della pianta di Antonio Pace - al numero 13 - viene ricordata un’altra torre a protezione della Porta di Santa Maria della Croce, «distrutta nel 1805».

Le chiese di San Mercurio e di San Bartolomeo, che presentano sulle fiancate feritoie e fori - del tutto simili a quelli delle torri e del castello - per cannoncini, archibugi, e spingarde, erano parte integrante del sistema di fortificazione urbana.

Il luogo del mercato, per quel che si può ricostruire, è stato più volte spostato (ai limiti della cinta muraria e nei pressi di un quadrivio, secondo uno schema tipico dell’età medioevale) seguendo le progressive addizioni: dal largo della Croce (cosiddetto per la presenza di una croce viaria in pietra, oggi mutila e sistemata sul fronte della chiesa di San Bartolomeo), nei pressi della Porta Fida, a largo San Leonardo, davanti all’omonima chiesa, e infine fuori Porta Maggiore, nella pianura antistante la chiesa della Santissima Trinità (poi nuova cattedrale della diocesi di Bojano-Campobasso), ove attualmente si apre piazza Guglielmo Pepe.

Dentro la cortina, spesso nascosti dalle case che li circondavano, c’erano anche diversi orti e giardini che alleggerivano la fitta trama del tessuto urbano e provvedevano, almeno in parte, alla produzione agricola.

I due secoli di viceregno spagnolo, segnati dalle carestie e dalle epidemie di peste (le peggiori scoppiarono nel 1576 e nel 1656), costituirono un periodo di declino demografico nel quale non si ebbero ampliamenti urbani degni di considerazione.

- Campobasso in un disegno del 1743 -

Intorno alla metà del Settecento, dopo la fine del viceregno austriaco, incominciò un sistematico smantellamento delle mura; la Camera baronale, non potendo più sostenere le spese di manutenzione, consentì ai privati, in cambio di una tassa, di appoggiarvi le nuove costruzioni e di aprire su di esse porte e finestre. Anche i residui «Rinforzi» - portici ormai divenuti luoghi di ricovero per malviventi e per incontri equivoci -  furono venduti ai «possessori delle convicine case».

Nel 1807 Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, nell’ambito di una radicale riforma dei governi locali, creò la «Provincia di Molise» e dispose che Campobasso ne fosse capoluogo, con alle dipendenze il distretto di Isernia.

Il successore, Gioacchino Murat, con regio decreto del 1814, autorizzò la costruzione di un nuovo quartiere «al di fuori del Borgo Vecchio» e di tutti quegli edifici di carattere pubblico indispensabili per la vita amministrativa della provincia, in gran parte realizzati lungo la strada che conduceva a Napoli, secondo il progetto dell’architetto Bernardino Musenga.

Nacque così, oltre le mura, la città contemporanea...

                                                                                                                                                                                          Alessandro Cimmino


Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Disegni, elaborazioni grafiche e foto, ove non specificato, sono dell'autore. Articolo pubblicato sul mensile "Il Ponte", a. XXI, n. 12, dicembre 2009, pp. 38-40.