Un capolavoro sconosciuto: la Pietà di Battistello

 

La chiesa madre di San Michele Arcangelo domina Largo Conte Zurlo a Baranello. Completamente ricostruita dopo il terremoto del 1805, su resti risalenti al XIII secolo, presenta una candida facciata in stile neoclassico con quattro massicce colonne, di ordine tuscanico e modulo gigante, e tre portali identici in corrispondenza delle navate.

- Baranello, Chiesa di San Michele Arcangelo -

Nell’interno - a pianta basilicale senza transetto, con paraste e colonne di ordine ionico - è possibile contemplare, tra l’altro, alcune interessanti opere di scuola napoletana del XVII-XVIII secolo. Davvero mirabile, nella navatella destra, un olio su tela: la Pietà di Giovan Battista Caracciolo soprannominato il Battistello.

Nato a Napoli verso il 1570 (secondo alcuni nel 1578), Battistello si forma nella bottega del tardomanierista Belisario Corenzio ma l’arrivo di Caravaggio in città nel 1606 vede la sua adesione entusiastica ed assoluta al luminismo e al naturalismo (riproduzione del mondo percepibile dai sensi). A Roma nel 1614 entra in rapporto con Orazio Gentileschi; nel 1618 è a Firenze, dove lavora per il granduca Cosimo II de’ Medici, e a Genova. Artista sensibile e ricettivo subisce, poi, anche l’influenza classicistica dei bolognesi Annibale Carracci e Guido Reni, come mostrano opere più magniloquenti, posteriori al 1620. Tornato a Napoli affresca nel Palazzo Reale, nella cappella del Tesoro al Duomo, nella chiesa del Gesù Nuovo, nella Certosa di San Martino (cappella di San Gennaro).

- Giovan Battista Caracciolo, detto il Battistello, Pietà -

I suoi dipinti sono esposti in sedi prestigiose: Galleria degli Uffizi a Firenze, Kunsthistorisches Museum a Vienna, Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, Pinacoteca di Brera a Milano, Galleria Nazionale d’Arte Antica (Palazzo Barberini) a Roma.

La tela di Baranello ha come chiaro riferimento il linguaggio formale del Merisi, seppure meditato e rivissuto, ed è, perciò, databile entro il primo ventennio del XVII secolo. Nota anche come  Deposizione è tuttavia priva della croce, elemento imprescindibile per quella scena; in realtà si tratta di un Compianto o meglio di una Pietà: Cristo, disteso su un lenzuolo con la testa reclinata e le braccia abbandonate, è illuminato da un bagliore vivido, mentre la Vergine, San Giovanni e la Maddalena sembrano emergere dalle tenebre.

La composizione, un rigoroso, drammatico accordo di luci ed ombre (la luce, come nelle opere di Caravaggio, è l’elemento che, insieme all’ombra, conferisce la vita, crea corpi e oggetti ma in Battistello le forme sono modellate saldamente anche da un disegno energico, netto ed accurato), appare come bloccata, raggelata e presenta un taglio diagonale - giacitura del corpo di Cristo - fortemente sbilanciato, con tutte le figure concentrate nella parte in alto a destra.

- Schema della composizione -

I profili sono brani di straordinario naturalismo e mostrano un esplicito interesse per i capolavori della scultura. La Maddalena, difatti, per l’enfasi del grido di dolore, per l’accesa espressività, richiama le pie donne del Compianto - gruppo in terracotta policroma (1492) - realizzato da Guido Mazzoni nella chiesa di Sant’Anna dei Lombardi (o di Monteoliveto) a Napoli.

Si tratta, dunque, di un lessico figurativo dai caratteri ben definiti, basato su un insieme di scelte formali (chiaroscuro), poetiche (verità naturale) e compositive (pochi personaggi) estrinsecate con grande efficacia e con risoluto gusto antiaccademico.

Accanto al celeberrimo gruppo marmoreo di Michelangelo Buonarroti in Vaticano (1498-99), l’autore sembra ispirarsi per questo dipinto, benché con il filtro di altre componenti culturali, anche all’interpretazione che dello stesso modello aveva dato Annibale Carracci in una Pietà (1599-1600), oggi al Museo di Capodimonte. Il tema della Madonna addolorata con in grembo il corpo di Cristo appena deposto dalla croce discende, comunque, dagli allestimenti “nordici” in legno e cartapesta, detti in Germania “Vesperbilder” (Immagini del Vespro), approntati per la liturgia del Venerdì Santo e dalla tradizione popolare medioevale delle sacre rappresentazioni.

Possiamo, infine, osservare la sapiente ed articolata tecnica pittorica che ha portato ad adottare soluzioni diverse a seconda delle zone e che ha prodotto una materia straordinariamente cristallina; purtroppo l’uso di lacche, resine (aloe) e colori ottenuti macinando sali minerali di rame che, col tempo, si ossidano (caso tipico: l’azzurro d’Alemagna o azzurrite - carbonato basico di rame - si altera in verde) ha cagionato in diverse aree l’oscuramento o la scomparsa di tinte e lumeggiature. Ad esempio la veste della Vergine, realizzata con una velatura di lacca, direttamente su un substrato di colore molto scuro, ossidatasi, è diventata oggi quasi trasparente, al punto che il braccio destro del Cristo sembra non più appoggiato su di essa ma sospeso in aria.

A testimonianza della grandezza di Giovan Battista Caracciolo rimane il giudizio espresso da Roberto Longhi, il più importante storico e critico d’arte italiano del secolo scorso, uno dei massimi studiosi del fenomeno caravaggesco: «Questo grave patriarca bronzeo del Seicento napoletano, forse l’unico secentesco che, oltre il Maestro [Caravaggio], ci colpisca con la folgorazione di una personalità arcaica».

Non solo le grandi città d’arte ma anche il Molise, lontano dalle rotte turistiche più battute, nelle tante chiese e chiesuole custodisce veri capolavori, ai più sconosciuti. San Michele Arcangelo a Baranello offre un’autentica meraviglia, un sorprendente gioiello.

                                                                                                                                                                                           Alessandro Cimmino


Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Disegni, elaborazioni grafiche e foto, ove non specificato, sono dell'autore.

Articolo pubblicato sul mensile "Il Ponte", a. XX, n. 5, maggio 2008, pp. 40-41.