i seguaci di Francesco d'assisi a bojano

   

La figura di Francesco d’Assisi - prima elegante, raffinato, colto, conoscitore di latino, francese e provenzale, capace di scrivere musica, poi umile, dimesso, coperto solo da una ruvidissima veste, povero tra i poveri - irruppe sulla scena del mondo al principio del XIII secolo, quando la Chiesa, avvolta di fasto e di lusso, cercava di imporsi con la repressione, il sangue e le armi, sopprimendo gli eretici, combattendo gli “infedeli” per liberare la Terra Santa.

I suoi seguaci, detti Frati Minori (l’Ordine fu riconosciuto nel 1210 da papa Innocenzo III), si distinsero subito dalle altre istituzioni esistenti. Si trattava, difatti, di cristiani che mettevano davvero in pratica il Vangelo, che avevano lasciato il mondo e rotto definitivamente con il “secolo”, che accoglievano adepti e fedeli di tutte le classi sociali.

Era una forma di vita che si contrapponeva ai principi “feudali” su cui si reggeva allora la maggioranza degli antichi monasteri e che si fondava, invece, sulla fraternitas, nel senso più genuino del termine.

Perciò essi non furono vincolati a determinati luoghi, non ebbero proprietà che ne assicurassero la sussistenza; svolgevano, nella massima povertà, un’intensa attività apostolica itinerante.

Tuttavia con il passare degli anni e con il vertiginoso aumento dei frati congreganti (diventati dopo solo pochi decenni migliaia), distribuiti anche in regioni molto lontane, si rese necessario organizzare l’Ordine per Province (in Italia ne furono create 12) e aggiornare la Regula.

In particolare, per quanto riguarda la fissa dimora, ci fu un lento adeguamento verso una certa stabilità. Al principio si formarono romitori e ospizi per i poveri e gli ammalati; più tardi alcune di queste strutture divennero vere e proprie comunità conventuali anche se profondamente diverse dai monasteri benedettini.

Il territorio dell’attuale Molise, ove molti luoghi francescani ebbero origine quando il santo era ancora in vita o, comunque, negli anni immediatamente successivi alla sua morte, venne incluso nella Provincia di Sant’Angelo (che si estendeva dal fiume Ofanto al fiume Sangro, dal mare Adriatico alla dorsale degli Appennini).

Un elenco redatto nella seconda metà del XIII secolo (intorno al 1263) riporta, tra le altre sedi provinciali: Isernia, Venafro, Agnone, Campobasso, Pianisi (Sant’Elia a Pianisi) e Bojano.

La prima testimonianza - contenuta nella raccolta di documenti nota come “Regesti Gallucci” - sul convento di Bojano risale al 1307; si tratta di un contenzioso tra l’allora vescovo di Bojano, Guglielmo, ed i Frati Minori che accampavano diritti sui «valcaturi» (gualchiere, impianti meccanici che, sfruttando l’energia idraulica, battevano le stoffe e le pelli con dei magli per renderle più compatte e, quindi, di maggior pregio) siti nella località Rio Freddo.

Un cospicuo carteggio ci fornisce notizie del convento, e della chiesa annessa, dal XVI fino al principio del XIX secolo.

Il Catasto Onciario del 1744 ci informa che al tempo vi dimoravano 9 frati e che poteva arrivare ad ospitarne fino a 18; in quella data il complesso, che era tra l’altro un «loco di studio», versava in cattive condizioni («dimesso per le fabbriche») ed erano necessari almeno 200 ducati per provvedere ai lavori più urgenti. Si precisa, inoltre, che occorrevano altri fondi per completare il campanile, evidentemente eretto solo in parte.

Tutte le opere furono portate a termine, grazie alle cospicue rendite dei francescani, in due decenni e le strutture vennero riconsacrate nel 1768. Tuttavia solo pochi anni dopo, nel 1805, un forte terremoto provocò, come si evince dalle relazioni redatte in quel frangente, danni gravissimi sia al monastero che alla chiesa e al campanile, al punto che fu necessario sistemare i frati in un «baraccone» appositamente realizzato.

- Giardino di Palazzo San Francesco (cartolina anni ’50) -

Soppresso nel 1809 dal Governo francese, che mirava, con apposite leggi, a rimuovere gli ordini religiosi e ad incamerarne beni e rendite, il convento diroccato non fu più ricostruito. Al suo posto venne innalzato, intorno alla metà del XIX secolo, un altro edificio - Palazzo San Francesco - oggi sede del municipio.

Nessuna fonte scritta, purtroppo, ci fornisce una descrizione precisa né del monastero, né della chiesa; tre importanti fonti iconografiche - una veduta di Bojano della fine del XVII secolo, contenuta nell’opera di Giovan Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, una pianta militare redatta dal geografo regio Tommaso Zampi agli inizi dell’Ottocento (prima del terremoto del 1805) e un disegno relativo alla Reintegra del Tratturo Pescasseroli-Candela del 1811 - ci permettono, invece, di poter rilevare l’aspetto e alcune caratteristiche degli edifici.

- Il convento di San Francesco nella Veduta Pacichelli (fine XVII secolo), in alto, e nella Reintegra del Tratturo Pescasseroli-Candela (anno 1811), in basso -

Nella veduta Pacichelli, il «Convento de’ Francescani Conventuali», protetto da un alto muro di cinta, racchiude diverse costruzioni, alcune turrite, e presenta un ingresso su quella che poi sarà chiamata via Cavallerizza (deformazione, forse, di “Calvarizia”, cioè il luogo ove si svolgeva il percorso della Via Crucis, rappresentazione sacra curata dai frati).

La pianta Zampi lo riproduce di forma rettangolare, al di fuori della già frammentata murazione urbana settentrionale, e con un ampio giardino che occupa un’area corrispondente, all’incirca, a tutta l’odierna piazza Roma.

Il grafico del 1811, lungo corso dei Pentri, riporta un vasto spazio porticato con archi a tutto sesto (dove, come ci hanno tramandato alcuni scritti, si riuniva il «Parlamento cittadino») mentre la chiesa ha la facciata su «Largo della Piazzetta del Monastero», rivolta verso via delle Tintiere Vecchie; il recinto del giardino raggiunge la «Via al Fiumicello».

Cosa rimane oggi a difendere il ricordo della permanenza sul territorio di Bojano dei seguaci del santo d’Assisi, una permanenza durata circa cinque secoli e mezzo? Apparentemente solo l’intitolazione del Palazzo municipale, sorto, come già detto, sui ruderi del complesso conventuale.

Non è, però, tutto.

- Fontana di casa Perrella (foto di Alessio Spina) -

Nel giardino di una abitazione privata - casa Camillo Perrella, un medico scomparso, molto noto e stimato nel centro matesino - si trova, addossata ad un muro, una fontana realizzata assemblando diversi elementi decorativi in pietra, palesemente derivanti dallo spoglio di un edificio religioso: il frammento di una mensola con cornice scolpita, una piccola vasca - sicuramente un’acquasantiera - a forma di conchiglia, due figure d’angelo costituite dalle sole teste affiancate da ali, uno stemma vescovile con l’ovale centrale riscalpellato (una damnatio memoriae?), due piedritti con un rombo in rilievo, due piccoli capitelli con volute in stile ionico, un grosso scudo sormontato da una corona.

Quest’ultimo è, sicuramente, il pezzo più interessante, quello che ci fornisce l’indizio per scoprire l’origine dei reperti.

- Stemma dei Francescani Conventuali (foto di Alessio Spina) -

Mostra al centro, circondato da uno studiato e simmetrico gioco di volute, spire e foglie, il simbolo dell’ordine dei Francescani Conventuali: due braccia tese - un braccio, nudo, proveniente da destra che si sovrappone ad un altro braccio, con manica di saio, proveniente da sinistra - situate davanti ad una croce; le palme delle mani non hanno oggi chiare tracce delle stimmate (come in tutte le rappresentazioni analoghe si vuol mettere in evidenza che Francesco, il primo santo stimmatizzato, ebbe le stesse ferite di Gesù crocifisso) ma si può presumere, data la presenza di colore marrone sulla croce, che un tempo fossero rese anche cromaticamente.

La ricercata corona con cinque punte (fioroni) che sovrasta lo scudo è molto simile, anche nella fascia con piccoli rilievi geometrici, a quella dello stemma nobiliare della famiglia Di Costanzo (in possesso del feudo di Bojano dal principio del XVIII secolo) che si vede sull’ingresso del Palazzo ducale, in salita Pandone.

La composizione, la forma e i decori portano a collegare lo stemma in esame all’età barocca o tardo barocca (le novità artistiche per giungere dai principali centri di elaborazione - in questo caso Milano, Torino, Napoli, e soprattutto Roma - alle estreme zone periferiche, come il Molise, impiegavano anche diversi decenni), in un clima religioso e culturale decisamente molto lontano dalla povertà e dall’umiltà che caratterizzava i primi frati francescani.

In uno dei quadri conservati presso la sagrestia dell’antica cattedrale di Bojano è ritratto un vescovo, Antonio Graziani, che resse la diocesi dal 1666 al 1684; proveniente proprio dall’ordine dei Minori Conventuali, il soggetto mostra un’immagine complessiva (abito, acconciatura, posa) raffinata, elegante, forse troppo sofisticata per chi era stato un povero frate, un aspetto del tutto simile a quella dei gentiluomini spagnoli dipinti da Velázquez.

Queste considerazioni portano a presumere che anche le costruzioni del convento e della chiesa di San Francesco, originariamente semplici e spoglie, fossero state adeguate, disponendo di donazioni e numerose rendite, all’opulenza, al fasto, all’eccesso artificioso e retorico dell’arte barocca. Del resto anche altri edifici dei francescani giunti fino ad oggi - ad esempio quelli di Agnone, Isernia e Guglionesi - presentano l’adeguamento alle innovazioni stilistiche proprie del XVII e XVIII secolo.

- Portone della chiesa di San Francesco ad Agnone -

In particolare, la parte superiore del portone ogivale della chiesa di San Francesco ad Agnone è decorata con girali di foglie d’acanto e con uno scudo ed una corona del tutto simili a quelli di Bojano; in basso è incisa la data della realizzazione: 1745.

Dunque i reperti riutilizzati per creare la fontana di casa Perrella, innanzitutto lo stemma e gli angeli, possono essere posti in quel lasso temporale, forse nell’ambito dei lavori di restauro, completamento e abbellimento terminati nel 1768.

Come ha efficacemente messo in evidenza il grande studioso Ferdinando Bologna, l’oggetto artistico (o artigianale) con le sue caratteristiche peculiari, costituisce un vero documento, un “testo” che permette di poter formulare un’ipotesi di collocazione in un determinato “contesto”, in una precisa situazione socio-culturale.

                                                                                                                                                                                           Alessandro Cimmino


Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Disegni, elaborazioni grafiche e foto, ove non specificato, sono dell'autore.

Articolo pubblicato sul mensile "Il Ponte", a. XXII, n. 1, gennaio 2010, pp. 38-40.