Un’istantanea di Bojano in un quadro del Seicento

 

Entrando nella sagrestia dell’antica cattedrale di Bojano, sulla sinistra, sopra un armadio a muro in legno di noce, risalente al XVII-XVIII secolo, sono collocati alcuni dipinti; si ritiene che raffigurino due papi - Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, (1513-1521) e Clemente X, al secolo Emilio Altieri, (1670-1676) - e sei vescovi di Bojano.

Uno di questi quadri - prima fila in alto, terzo da sinistra - ritrae un prelato, originario della terra di Lucania, che resse la diocesi dal 1666 al 1684: Antonio Graziani (o Graziano).

- Ritratto del vescovo Antonio Graziani (XVII secolo) -

Personaggio misterioso: divenne vescovo, scelto tra i minori francescani, nell’anno del diavolo (o dell’anticristo), il cui simbolo è il 6 ripetuto tre volte (666, segno della Bestia del Male) e morì avvelenato diciotto anni dopo (la somma di 6+6+6 o 6 moltiplicato per 3). A Macchiagodena, ove Graziani era solito recarsi nel periodo estivo per godere della piacevole frescura della località di montagna, il suo arcidiacono, un certo Taizzo, per un motivo apparentemente futile - una controversia sull’abbattimento di un grosso albero - gli fece servire a tavola una trota contaminata con aconito napello, un potente veleno vegetale.

Sulla tela ha occhi neri, penetranti, che scrutano, dall’alto di un naso adunco, l’indifeso osservatore. Indossa una mozzetta azzurra con fodera, bottoni ed impunture rosso fuoco sopra un candido rocchetto dalle maniche strette ornate di pizzo; sul capo porta una berretta, cappello squadrato con tre creste, di colore nero. Sfoggia lunga ed ondulata capigliatura e “barbetta da cavaliere” (chevalier), tipica del XVII secolo: baffi, sottili ed arricciati sul labbro superiore con una zona libera sotto il naso, e pizzetto.

Mentre i lineamenti denunciano una verità fisionomica piuttosto accentuata, con le rughe, il doppio mento e le borse sotto gli occhi, l’immagine complessiva (abito, acconciatura, posa) risulta ricercata, forse troppo sofisticata per chi era stato un umile frate...

Alle sue spalle una pesante tenda color terra di Siena, sapientemente trattenuta a mo’ di sipario, svela allo spettatore uno scorcio di Bojano presentato come il fondale di un palcoscenico.

Un passaggio in un muro alto e cupo, un’apertura con arco a tutto sesto, lascia intravedere, su un piano arretrato, un edificio religioso con campanile: la cattedrale.

- Particolare del dipinto -

La facciata principale, a salienti, è quasi del tutto coperta da un albero, un grande platano dalla folta chioma, proprio come quelli che si trovano ancora in piazza Roma. Sulla candida fiancata sinistra si stagliano due serie di finestre: quelle in alto, rettangolari, del tutto simili alle attuali per sagoma e dimensioni, danno luce alla navata centrale; quelle in basso, più piccole, di forma circolare, si aprono sulla navatella.

La torre campanaria, a base quadrata, sormontata da una tozza cuspide “a cipolla”, si trova sul lato destro della facciata; questa struttura crollò o a causa del sisma del 1688 oppure, con maggiore probabilità, come si evince dalle relazioni redatte all’epoca, a seguito del terremoto del 1805. Il campanile venne, comunque, ricostruito sulla fiancata opposta, nell’attuale sito.

- La cattedrale in una cartolina datata 1925 (collezione Giovanni Lopa) -

- La cattedrale in una foto recente -

Dietro la cattedrale, nonostante alcune piccole lacune sulla superficie pittorica e la resa degli elementi con larghe e veloci pennellate, si distinguono le abitazioni di salita Piaggia; dal profilo della montagna, che si staglia su un cielo azzurro solcato da una grossa nuvola bianca, emerge il possente castello di Civita.

Passando ad esaminare la massiccia muratura, rifinita in alto da una cornice, su cui si colloca l’apertura ad arco, si pone un quesito. È pertinente a quale struttura? Si tratta della cortina muraria cittadina - e quindi di una porta d’accesso al centro urbano - oppure di un’altra costruzione?

Escludendo che l’autore abbia volutamente deformato la prospettiva e le proporzioni, la cinta medioevale correva a poca distanza dal fianco nord della cattedrale (circa 13 metri) e, di conseguenza, quello scorcio non era visibile né da Porta Santa Maria, collocata alle spalle dell’abside dell’edificio, vicino alla chiesa di Santa Maria del Parco, né da Porta di Visco che dovrebbe trovarsi, difatti, nello scorcio stesso, sulla destra del platano.

Si potrebbe identificare, invece, con il muro perimetrale del vasto complesso monastico dei frati francescani che includeva con il giardino l’intera area ove, attualmente, sorge piazza Roma. Il convento è riportato e ben posizionato, extra moenia, nella veduta di Bojano allegata ad una nota opera del Pacichelli: Il Regno di Napoli in prospettiva; una incisione realizzata alla fine del Seicento, quindi, pochi anni dopo il dipinto.

Ad avvalorare questa ipotesi c’è la considerazione che il vescovo Graziani apparteneva all’ordine francescano e, quindi, frequentava assiduamente, se non addirittura dimorava in tale struttura.

Il ritratto, eseguito sicuramente con il modello in posa, cerca di rendere - ambizioso tentativo - oltre alla somiglianza fisica, la personalità, l’interiorità.

Particolare attenzione vien posta alla contestualizzazione ambientale e sociale del prelato che compie un’azione, un gesto caratterizzante e fortemente legato al rango cui appartiene: suona, agitandolo per il manico, un campanello d’argento - simbolo del potere - per chiamare un collaboratore, un servitore ma pure tutti i fedeli.

Ancora un significato allegorico sembrano esprimere il foglio ripiegato, stretto tra pollice ed indice della mano sinistra, e il grosso tomo sul tavolo, palesemente aggiunto in un momento successivo (sotto di esso si vede, in trasparenza, il risvolto rosso della mozzetta).

Al di là delle connotazioni simboliche e dell’edulcorazione celebrativa, un elemento in secondo piano - lo scorcio - risulta essere, un’importante testimonianza iconografica che fornisce diverse, piccole ma preziose informazioni sull’aspetto della città di Bojano nel XVII secolo, una vera istantanea d’epoca.

La pittura fissa le cose, ferma il tempo; la storia può tentare di comprenderle.                                    

                                                                                                                                                                                           Alessandro Cimmino


Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Disegni, elaborazioni grafiche e foto, ove non specificato, sono dell'autore.

Articolo pubblicato sul mensile "Il Ponte", a. XX, n. 10, ottobre 2008, pp. 54-55.